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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Cicerone
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Della divinazione, II, 100
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originale
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100 Restant duo divinandi genera, quae habere dicimur a natura, non ab arte, vaticinandi et somniandi; de quibus, Quinte," inquam, "si placet, disseramus." "Mihi vero," inquit, "placet; his enim quae adhuc disputasti prorsus adsentior, et, vere ut loquar, quamquam tua me oratio confirmavit, tamen etiam mea sponte nimis superstitiosam de divinatione Stoicorum sententiam iudicabam; haec me Peripateticorum ratio magis movebat, et veteris Dicaearchi et eius, qui nunc floret, Cratippi, qui censent esse in mentibus hominum tamquam oraclum aliquod, ex quo futura praesentiant, si aut furore divino incitatus animus aut somno relaxatus solute moveatur ac libere. His de generibus quid sentias et quibus ea rationibus infirmes, audire sane velim."
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traduzione
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100 Rimangono due forme di divinazione, che, a quanto si dice, ci provengono dalla natura, non dall'arte: i vaticinii e i sogni. Discutiamone," dissi, "Quinto, se ti piace." Rispose Quinto: "Certo che mi piace. In effetti io mi sento del tutto d'accordo con quel che hai sostenuto finora e, per esser sincero, quantunque le tue parole abbiano rafforzato la mia opinione, tuttavia anche prima, dentro di me, consideravo troppo superstiziosa la dottrina stoica sulla divinazione. Mi seduceva di pi? quest'altra teoria, quella dei peripatetici: del vecchio Dicearco e di Cratippo che attualmente ? nel pieno fiore della sua fama. Essi ritengono che vi sia nelle menti degli uomini una sorta di oracolo che faccia presentire il futuro, quando l'anima o ? esaltata da una divina foll?a o, rilassatasi nel sonno, pu? muoversi liberamente e senza vincoli corporei. Sarei davvero desideroso di sentire che cosa pensi di queste forme di divinazione e con quali argomenti le confuti."
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